La storia del rugby: le origini di uno sport mondiale

Spesso da bambini si ha la tendenza a mettersi a correre con la palla in mano, schiavando chi vuole rubarla. L’inizio della storia del rugby si potrebbe riassumere così, e probabilmente non si sbaglierebbe di molto. C’è però molto di più dietro questo sport che viene oggi praticato in tutti i continenti del mondo.

La storia del rugby

Il rugby più conosciuto, soprattutto in Italia grazie al Sei Nazioni, è quello “a 15”. Esistono tante altre versioni: le alternative più celebri sono quella “a 13” e quella “a 7”, che nel 2016 ha esordito come disciplina olimpica ai Giochi di Rio de Janeiro. Tuttavia, prima di arrivare alle Olimpiadi, questo sport ha dovuto percorrere diverse tappe. Sebbene fin dall’antica Roma si hanno testimonianze di giochi con la palla in mano, la storia del rugby trova il suo inizio in Inghilterra.

Un’origine leggendaria

A differenza della pallacanestro, l’origine del rugby mantiene attorno a sé un pizzico di leggenda. Nel 1823 presso Rugby, una città della contea del Warwickshire, durante il corso di una partita di calcio, lo studente William Webb Ellis prese in mano il pallone e cominciò a correre, arrivando fino a fondocampo e realizzando la prima meta della storia. Sebbene il nome di Ellis sia rimasto nella storia, come dimostra la denominazione della Coppa del Mondo a lui dedicata, va sottolineato come ai tempi non fosse del tutto insolito vedere giocatori tenere la palla in mano, dato che in quel periodo mancavano ancora dei regolamenti specifici.

Fu però verso la fine dell’800 che il rugby cominciò a diventare ciò che conosciamo noi oggi, differenziandosi definitivamente dal football. Il 26 gennaio 1871, si formò la Rugby Football Union, che portò ad una standardizzazione delle regole per tutti coloro che giocavano il nuovo sport nato alla Rugby School. Alcune di queste furono:

  • l’impiego della palla ovale (in modo tale da non poterla utilizzare facilmente coi piedi)
  • l’abolizione del calcio agli stinchi
  • la possibilità di correre con la palla in mano
  • il numero di giocatori venne fissato a 20 (poi ridotto a 15 tra il 1875 e il 1876)

La diffusione in Europa

Il rugby ebbe fin da subito gran successo, ottenendo una rapida diffusione tra i territori dell’Impero Britannico. Nel 1886 nacque a Londra l’ International Rugby Board (IRB), che è tutt’oggi l’organo di governo più importante per quanto riguarda il rugby. Nel novembre del 2014 l’IRB ha annunciato ufficialmente il cambiamento di nome, diventando World Rugby.

L’Inghilterra è la nazione da sempre legata al rugby. Ad oggi vanta il più alto numero di giocatori in assoluto ed è stabilmente tra le migliori squadre, come testimoniano i successi in Coppa del Mondo. La palla ovale però uscì presto dai confini, iniziando una diffusine mondiale. La prima nazione che cominciò a giocare a rugby fu l’Irlanda. Venne introdotto nel 1854 nel Trinity College di Dublino. Gli studenti furono decisivi anche in Scozia: fu grazie ai due fratelli Alexander e Francis Cromie che nel 1858 venne fondato il primo club scozzese, gli Academicals. Nonostante non abbia un elevato numero di praticanti, la nazionale scozzese è da sempre ai vertici di questo sport.

Altra nazione europea che vide fin da subito la diffusione del rugby fu la Francia. Il rapido successo e il gran seguito di pubblico, portarono la nazionale francese a partecipare nel 1910 al torneo annuale delle quattro nazioni britanniche, che così divennero cinque. Siamo all’inizio di quello che dal 2000 diventerà poi il Sei Nazioni, che vede anche l’Italia tra le formazioni partecipanti.

Il resto del mondo: gli All Blacks e non solo

A metà dell’800 il rugby si diffuse anche in Oceania. In Australia a inizio 20° secolo i club praticanti erano più di cento. La nazione che però fece diventare il rugby il proprio sport nazionale fu la Nuova Zelanda. Oggi quella neozelandese è la nazionale più famosa e seguita al mondo e i suoi giocatori sono conosciuti come All Blacks. L’origine del nome avvenne in un torneo in Gran Bretagna nel 1905, a causa di un refuso tipografico: “they are all backs” divenne “they are all blacks”, equivoco rafforzato dalla divisa nera. Alla squadra neozelandese è anche associata la haka, danza dei guerrieri maori praticata prima di ogni partita.

Il rugby si diffuse negli stessi anni anche nel continente nero, trovando nel Sudafrica la propria nazione di riferimento. Fu George Ogilvie, un ex studente di Winchester e Oxford, che portò il nuovo gioco Città del Capo. I giocatori della nazionale sudafricana sono soprannominati gli Springboks, una sorta di gazzella. Tra loro e gli All Blacks si tennero un gran numero di partite memorabili, dando vita nel corso del ‘900 alla maggior rivalità sportiva tra nazioni rugbiste.

Figi, Samoa Occidentali e Tonga sono espressione della diffusione mondiale del rugby. Le tre nazioni lo considerarono fin da subito come loro sport nazionale. Nonostante il basso numero di abitanti, tutte e le tre le formazioni sono tra le più forti al mondo. In particolare Figi, con poco più di 150000 giocatori, è la quarta nazione al mondo per praticanti, alle spalle di superpotenze come Inghilterra, Francia e Sudafrica. Le tre nazioni partecipano a uno dei più celebri tornei internazionali: l’IRB Pacific Nations Cup, conosciuto anche come il “Sei Nazioni del Pacifico”. Infine merita una menzione anche l’Argentina: nonostante non riesca ad essere ancora tra le nazioni partecipanti alla Coppa del Mondo, conta un elevato numero di professionisti nei migliori club globali.

La storia del rugby: gli “Azzurri” della palla ovale

Nel Bel Paese lo sport nazionale è senza discussione il calcio. Il rugby, nonostante i non esaltati risultati della nazionale, ha un notevole seguito come dimostrano i vari sold-out all’Olimpico di Roma durante il Sei Nazioni.

I primi anni e l’entusiasmo iniziale

La storia del rugby in Italia ebbe inizio dei primi anni del ‘900, grazie a Pietro Mariani, che aveva scoperto e praticato il rugby in Francia. Altra celebre figura fu Stefano Bellandi, che a Milano creò una sezione rugbistica presso l’Unione Sportiva Milanese (che nel 1920 si sarebbe poi fusa con l’Inter). Nonostante Milano detenga il titolo di città dove il rugby ebbe il pieno sviluppo, Torino fu altrettanto importante. Nella città piemontese già nel 1910 si tenne una partita di rugby, dove però si affrontarono due squadre straniere: il Racing Club di Parigi e il Servette di Ginevra. Questa partita fu la scintilla che permise la fondazione del Rugby Club Torino, che fu la prima squadra italiana.

La Grande Guerra fermò la diffusione del gioco, che però fu ripresa da Bellandi al termine del conflitto. Grazie ai suoi sforzi nel 1928 si arrivò alla fondazione della Federazione Italiana Rugby, con Mariani presidente. L’anno successivo venne organizzato il primo Campionato italiano: sei squadre divise in due gironi da tre . Sempre nel 1929 si tenne a Barcellona la prima partita della nazionale italiana, terminata con una sconfitta. La prima vittoria coincise, nel 1930, con la prima partita della nazionale in Italia: anche in quel caso la sfida fu contro la selezione spagnola ed il risultato fu di 3-0. Nonostante quelli furono anni difficili a causa del fascismo, va evidenziato come il rugby continuò fino al 1940 essendo ben visto dal regime. Achille Surace, segretario del PNF, sosteneva:

Il giuoco del rugby, sport da combattimento, deve essere praticato e largamente diffuso tra la gioventù fascista

Gli anni bui e la ripresa

Nel dopoguerra la ripresa fu lenta, anche se cominciarono a nascere nuovi club sparsi per tutta la penisola. Gli anni ’70 furono quelli della svolta. Sotto l’impulso del CONI nacquero i primi Centri di avviamenti allo sport. Inoltre la federazione istituì il minirugby con lo scopo di accogliere bambini interessati a iniziare a giocare. La scelta di dare il via a queste iniziative fu condizionata da un periodo buio di risultati da parte della nazionale.

I frutti di questo investimento sul futuro si cominciarono a vedere dagli anni ’90. Alcune vittorie permisero all’Italia di essere inserita nell’IRB e, a partire dal 2000, nel torneo Cinque Nazioni, che da lì prese il nome di Sei Nazioni. Nonostante i risultati nella manifestazione videro l’Italia ottenere per ben tre volte nelle prime cinque edizioni il cucchiaio di legno (trofeo simbolico destinato a chi perde tutte e cinque le partite del torneo), gli Azzurri guadagnarono ulteriore credibilità a livello internazionale. Il massimo riconoscimento fu l’inserimento dell’Italia nella prima fascia dell’IRB, costituita dai 10 stati leader. Negli anni recenti l’italrugby è tuttavia tornata a essere in difficoltà, anche a causa di un cambio generazionale non è all’altezza. Nota positiva sono invece l’aumento dei giovani praticanti e i buoni risultati della nazionale femminile, che dal 2007 partecipa all’edizione “rosa” del Sei Nazioni.

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