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Come ci si deve sentire ad essere cresciuti come una femmina ma rendersi ben presto conto di essere un maschio? No, non si parla di sensazioni a livello psicologico ma di vera e propria fisicità. Nella Germania nazista degli anni ’30, certamente, dichiarare di essere ermafroditi/intersessuali non era una passeggiata, soprattutto se non se ne era nemmeno consapevoli.
La storia di Dora Ratjen (diventata poi Heinrich), è l’esempio lampante di come lo sport possa aiutare una persona a cambiare vita.
La storia di Dora Ratjen
Quando nel 1918 a Ericshof (paesino tedesco vicino a Brema) viene alla luce il quarto figlio della famiglia Ratjen, la levatrice dichiara il nuovo nato come maschietto.
Poco dopo osservando meglio il bebè si corregge e, sebbene visibilmente confusa, comunica al padre che “è una bimba, in realtà”. In un periodo storico in cui la sessualità non era assolutamente mai discussa, le ambiguità e le diversità non erano ben accette e non era così comune sentir parlare di intersessualità (nascere con entrambi i sessi), la famiglia Ratjen decide di considerare il neonato come femmina e la fecero così battezzare come Dora.
Dora viene allevata insieme alle sue tre sorelle come una femmina a tutti gli effetti: capelli, vestiti, giochi. Crescendo però cresce anche la consapevolezza del proprio corpo, che inizia a mutare con accezioni sempre più virili. Dora non ha seno, ha la voce più bassa rispetto a tutte le sue amiche ed è costretta a depilarsi le gambe ogni giorno. Tutti i dubbi senza risposta riguardo la sua fisicità la portano a diventare molto timida e chiusa in sé stessa ma riesce a trovare una via d’uscita nello sport.
Nel 1934 si unisce alla Komet Bremen Athletics Club e inizia a praticare atletica, dando il suo meglio nel salto in alto. Dopo le prime vittorie a livello regionale, Dora si trasforma in una delle atlete di punta della nazionale tedesca.
Le olimpiadi
Nel 1936, anno in cui le Olimpiadi si sarebbero tenute a Berlino e a cui avrebbe presenziato anche Hitler, Dora è preparata fisicamente alla partecipazione e ad ottenere il posto in squadra con lei ci sono le compagne Elfriede Kaun e Gretel Bergmann, nota come la miglior saltatrice dell’epoca. Gretel ha solo un problema per la nazionale tedesca: è ebrea. Con il fine di evitare un boicottamento da parte della nazionale statunitense (che minacciava di non partecipare se non fossero stati inclusi gli atleti ebrei alle competizioni), la nazionale tedesca convoca in un primo momento tutte e tre le atlete.
Mentre gli atleti americani sono in viaggio, però, Gretel riceve una comunicazione in cui la si informa del fatto che a causa degli scarsi risultati ottenuti durante la stagione agonistica è fuori dalla squadra. L’imbarazzo che una medaglia “ebrea” avrebbe dato ad Hitler era troppo e quindi viene boicottata la sua partecipazione. Anni dopo, in un’intervista per Die Spiegel, la Bergamann dirà di Dora che
Non ho mai avuto alcun sospetto. Nelle docce comuni ci chiedevamo perchè non si facesse mai vedere nuda. Era strano che a 17 anni qualcuno fosse ancora così timido, però pensavamo solo “è strana, è particolare”.
Le Olimpiadi per Dora non ebbero il risultato sperato: ottenne il quarto posto per pochissimo e vide svanire il sogno di una medaglia. Dora dichiarerà anni dopo di aver partecipato ai giochi su formale richiesta della Gioventù Hitleriana e di averlo fatto per la “gloria della Germania”.
I campionati europei di Vienna
A seguito della delusione olimpica, Dora torna a casa e si allena duramente per ottenere maggiore successo nelle seguenti competizioni che avrebbe affrontato, dando allo sport tutto quello che aveva anche se praticarlo la obbligava a legarsi quotidianamente i genitali “segreti” e a nascondersi dalle compagne.
Nel 1938, Dora cerca la sua rivincita e tenta il salto a 1.67 mt, un’altezza che nessun’altra donna aveva mai raggiunto fino a quel momento: l’asticella non cade e il salto le assicura la medaglia d’oro e il record del mondo. Per Dora è il coronamento di tutte le sue fatiche e finalmente qualcosa di cui andare fiera, per il quale poteva permettersi di camminare a testa alta senza doversi nascondere come era abituata a fare.
L’arresto e la scoperta: tutto cambia
Di ritorno a casa dagli Europei, con la sua medaglia d’oro in valigia e un pizzico di sollievo nel cuore, due compagne di carrozza notano e osservano Dora con occhio critico. Seppur vestita perfettamente da donna (con tailleur e collant) c’è qualcosa nel suo viso che non le convince: la forma mascolina e un accenno di barba sulle guance. Immediatamente informano il capotreno della presenza a bordo di un travestito: qualcosa di oltraggioso, contro la morale ma soprattutto reato nella Germania nazista.
Dora viene fatta scendere alla prima stazione utile, quella di Magdeburgo, e viene immediatamente scortata alla stazione di polizia dove le vengono chiesti i documenti e viene interrogata. Quando capisce che la medaglia e gli onori sportivi non sono ciò a cui la polizia è interessata, prende la decisione di confessare tutto e di raccontare la sua storia, sperando così di potersi sentire libera una volta vuotato il sacco.
Ho indossato vestiti da ragazza dalla mia infanzia in poi. A partire dagli 11-12 anni ho cominciato a essere consapevole che non ero una donna ma un uomo. Ma non ho mai chiesto ai miei genitori perchè pur essendo un uomo dovevo indossare abiti femminili.
Il dottore che la visita a seguito della sua confessione spiegherà che l’ambiguità anatomica del suo corpo poteva effettivamente indurre al dubbio a primo occhio. Grazie a questa conferma medica, dopo l’arresto per frode sportiva Dora promette che non avrebbe mai più preso parte a competizioni e ottiene così il rilascio. Con la libertà, la famiglia Ratjen fa richiesta di un nuovo nome alle autorità comunali e Dora diventa finalmente e ufficialmente Heinrich.
La nuova vita
A seguito del rilascio, insieme a Dora vennero sepolti i suoi successi sportivi: la medaglia d’oro le fu confiscata e il suo nome cancellato dai registri delle competizioni. Heinrich passò qualche mese ricoverato in una clinica psichiatrica e riuscì a sfuggire all’olocausto che era previsto anche per le persone transessuali.
Dal suo ritorno a Brema, Heinrich ha iniziato a lavorare al bar di famiglia e a occuparsi dei suoi affetti, finalmente libero di mostrarsi nella sua vera natura. Da quel momento ha condotto una vita piuttosto ritirata ed è morto nel 2008 nella sua città natale.
La storia di Dora Ratjen, o meglio di Heinrich Ratjen, è un esempio lampante di come lo sport possa cambiare la vita di una persona e delle tante sfumature di cui questo “potere” si possa tingere. Il nome di Dora compare ancora oggi nei registri del Comitato Olimpico Internazionale ma sicuramente, riuscire a trovare la libertà in un mondo restrittivo come quello della Germania nazista degli anni ’30 è stata la vittoria più grande per Heinrich.
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