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Viviamo oggi nell’epoca della modernità ma di moderno, purtroppo, mancano ancora tante cose. Le donne sono da sempre considerate e pagate meno dei loro colleghi maschi e l’ambiente sportivo non fa eccezione: la percentuale di atlete femmine è molto più bassa di quella maschile ma le vittorie sono in controtendenza.
Nonostante questo, possiamo tranquillamente affermare che lo sport in Italia non sia per le donne.
Lo sport in Italia non è per le donne: perché
In Italia, svariati sport sono ancora oggi considerati unicamente “da maschi”. Le donne che vogliono praticare discipline come il calcio, il basket o lo sci, non sono considerate adatte a farlo in quanto sport troppo di forza o di contatto, quindi certamente non adatti al “sesso debole”.
Prova di questo è il fatto che in quasi tutti gli sport l’introduzione della sezione femminile è avvenuta anni e anni dopo la nascita della disciplina. Nello sci le donne hanno avuto il permesso di prendere parte alle competizioni ufficiali solo nel 1985, nell’atletica nel 1984 e poi addirittura nel 2000 per il salto con l’asta. Lucia Castelli, psicopedagogista dello sport, sottolinea:
Mi ricordo quando gli esperti dicevano che il ciclismo non era adatto alle atlete perchè poteva portare danni al sistema riproduttivo. Perchè, agli uomini no?
I dati
Se vogliamo parlare di numeri, la disparità diventa lampante. Una ricerca ISTAT del 2017 segnala che il settore sportivo nella sua totalità è composto al 71% da uomini e solamente per il restante 28,2% da donne. Lo stesso tragico scenario si ripete se osserviamo gli spazi della dirigenza (87,6% vs 12,4%) e il numero dei tecnici (81,8% vs 18,2%).
Se consideriamo poi che quella piccolissima “quota rosa” è costituita principalmente dalle donne che praticano o che si occupano di quegli sport considerati “da femmina”, la situazione diventa ancora più preoccupante. Il problema, secondo molti, è proprio a livello di cultura: Giulia Conti, velista con alle spalle 4 olimpiadi, ricorda con sarcasmo che le donne per tradizione sulle barche portano sfortuna. La quantità di luoghi comuni e di scaramanzie simili a questa sono moltissimi, ma perdono la loro “leggerezza” quando poi si riflettono su vere e proprie leggi.
La disparità per legge
Su 45 Federazioni sportive Italiane, nessuna è guidata da una donna. Ma se lo sport è la disciplina che funziona in base alla meritocrazia per antonomasia e le sportive femmine riempiono i medaglieri della nazionale italiana da decenni, perché avviene questo?
Per legge (norma 91 stipulata nel 1981) le donne non possono essere considerate professioniste. Non è possibile che una donna venga stipendiata come un calciatore, che firmi un contratto che preveda tutele occupazionali, pensionistiche o di maternità. Sarà sempre considerata una sportiva a livello dilettantistico. Lampante esempio di questa situazione di disparità è stato il caso della pallavolista Carli Ellen Lloyd che, annunciando la sua gravidanza sui social è stata colpita da una quantità incredibile di insulti che la accusavano di non curarsi della sua squadra e quindi del suo lavoro. Lavoro che ricordiamo, essendo donna, non è considerato tale.
L’unica via di fuga per le atlete di interesse nazionale è quella di riuscire a inserirsi nei gruppi sportivi militari. Gruppi come l’Esercito Italiano, le Fiamme Oro o la Polizia assumono a tutti gli effetti le atlete, garantendogli un contratto come impiegate statali il cui lavoro è quello di eccellere nello sport. Questa è l’unica opzione per le sportive di ottenere uno stipendio e qualche tutela. Tuttavia, non è una soluzione facilmente raggiungibile in quanto i “posti” disponibili sono molto pochi (l’Esercito Italiano concede solo un contratto all’anno per le ginnaste dell’artistica) e le selezioni sono molto dure.
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Verso l’uguaglianza
Oggi, solo le atlete della nazionale di calcio femminile sono riuscite dopo mesi di polemiche e reclami anche da parte della Fifa e della Uefa per regolarizzare il loro lavoro ad ottenere quantomeno un contratto. L’intervento delle maggiori istituzioni calcistiche è arrivato grazie ai numerosissimi successi a livello mondiale che le ragazze hanno ottenuto negli ultimi anni, di cui tutti si sono accorti tranne i vertici italiani a quanto pare.
Il ministro Spadafora, ha inoltre recentemente introdotto una nuova legge che concede alle varie federazioni di inquadrare ogni atleta sotto il suo specifico impego e quindi di stipulare nuovi contratti differenti per ognuno di loro. Non ci resta quindi che sperare nella collaborazione delle Federazioni e nel fatto che questo sia solo il primo passo verso un futuro in cui una medaglia femminile valga tanto quanto una maschile.