Gli abbracci possono avere un’infinità di significati. Ci sono quelli, per esempio, che dedichiamo alla persona che amiamo, e a lei soltanto; quelli, ancora, che sintetizzano più di ogni parola la complicità di un’amicizia eterna; e quelli – i più spontanei fra tutti – nei quali racchiudiamo l’espressione di un’emozione incontenibile.
Al minuto ’95 di Italia – Austria, quando Chiesa ha portato in vantaggio gli azzurri, l’area tecnica della Nazionale Italiana è stata lo scenario di innumerevoli abbracci di gioia. Tra di essi, tuttavia, ad assumere un significato particolare è stato quello in cui si sono stretti Mancini e Vialli. Un gesto, questo, destinato a fare la storia degli Europei. Dei nostri, se non altro.
Intensi, intensissimi, i 120 minuti che sono serviti all’Italia per battere l’Austria (2 -1) negli ottavi di finale di Euro 2021. Poche, le occasioni create dagli azzurri nei tempi regolamentari, tanti, d’altro canto, gli spaventi. Come testimoniano i secondi di timore che sono intercorsi dall’imperioso stacco di testa di Arnautovic e la segnalazione VAR del fuorigioco che ha significato l’annullamento del gol. Nei tempi supplementari, però, la musica è cambiata, e quando Chiesa ha portato in vantaggio gli azzurri, Vialli e Mancini non ce l’hanno più fatta. È allora, proprio in quel momento, che si sono stretti nell’abbraccio più emozionate e significativo di questi Europei. Almeno per noi italiani.
Non paghi, il CT e il capo delegazione della Nazionale hanno ripetuto l’affettuoso gesto in occasione della seconda marcatura italiana: lo splendido sinistro a incrociare di Mattia Pessina (minuto ‘106). Insomma, una chiara rappresentazione degli Europei di Mancini e Vialli: una competizione vissuta sull’onda dell’entusiasmo. Un entusiasmo sempre pronto a tradursi in meravigliose strette d’affetto.
Non sono stati, quelli di Londra, i primi abbracci di gioia che Mancini e Vialli si siano mai scambiati. Insieme alla Sampdoria a partire dal 1984, i due sono infatti scesi in campo, uno accanto all’altro, in una miriade di occasioni. Il primo – il Mancio – in qualità di fantasista, di architetto dai piedi fini e dalla mente lucida; il secondo – Vialli – vestendo i panni dell’attaccante centrale, sempre pronto a capitalizzare la stragrande maggioranza degli assist che il compagno gli recapitava.
Sono due, in questo senso, i momenti topici della loro esperienza in quel di Genova. Il primo è l’incredibile scudetto (l’unico nella storia della Sampdoria) conquistato nel 1991, quando a dominare, in Italia, erano il Milan di Sacchi e degli olandesi e l’Inter di Trapattoni e dei tedeschi. Il secondo, che ci tocca ancor più da vicino, la finale di Coppa dei Campioni persa ai supplementari con il Barcellona nel 1992.
Quella sera, proprio come in occasione della partita vinta contro l’Austria, si giocava a Wembley. L’intensità e la forza dei due abbracci cui Mancini e Vialli si sono lasciati andare, è dunque presto spiegata: in essi, i due amici di una vita, hanno racchiuso tutta la loro voglia di rivalsa e di riscatto. Perché in fondo, anche se a volte ci butta a terra, la vita ci offre sempre una mano grazie alla quale rialzarci. E così, nello stadio dove Mancini e Vialli avevano visto infrangersi i propri sogni di gloria, qualche giorno fa, a quasi trent’anni di distanza, i due hanno trovato la loro rivincita. Perché a volte, gli abbracci, scaturiscono dalla consapevolezza di non essersi arresi, di aver saputo continuare a sognare.
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