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Un’indagine fatta dalla Covisoc, organismo di vigilanza sulle società calcistiche, ha fatto emergere alcune ambiguità circa l’operato di alcuni club di Serie A nel corso delle ultime sessioni di calciomercato. Al centro della bufera, in particolare, alcune plusvalenze sospette.
Come sempre, quando si vuole familiarizzare con un termine o con un concetto, la cosa migliore da fare è consultare direttamente il dizionario. Per la Treccani, per esempio, una plusvalenza rappresenta una “differenza positiva fra due valori dello stesso bene riferiti a momenti diversi“. Si tratterebbe, in breve, del guadagno che è possibile ottenere dalla cessione di un bene prendendo in considerazione il suo valore residuo.
Nel mondo del calcio, pertanto, una plusvalenza consiste nel guadagno effettivo derivante dalla cessione, o dallo scambio, del cartellino di uno o più giocatori. Nel corso dell’ultima sessione di calciomercato, per non allontanarci troppo, il passaggio di Romelu Lukaku al Chelsea ha rappresentato per l’Inter una significativa plusvalenza. Comprato per circa 65 milioni di euro, il belga è stato venduto a 115 più bonus. Uno scarto considerevole, soprattutto se si tiene in considerazione il fatto che il club meneghino aveva già ammortizzato l’investimento iniziale per ben due stagioni, quelle nelle quali Romelu ha giocato e segnato con addosso la maglia nerazzurra.
Le plusvalenze hanno assunto un ruolo tanto centrale quanto strategico nel mondo del calcio da quando la UEFA ha deciso, nel lontano 2009, di istituire il cosiddetto Fair Play Finanziario. Il progetto, nato con l’obbiettivo di permettere ai vari club di estinguere i propri debiti e di promuovere un’idea di calcio basata sulla meritocrazia più che sull’effettiva ricchezza dei diversi investitori, stabilisce infatti che nessuna società di calcio possa spendere sul mercato più di quanto abbia effettivamente guadagnato.
Oltre agli sponsor e ai vari proventi derivanti dall’impatto del brand sul mercato internazionale, una delle principali fonti di guadagno effettivo per un club di calcio sono proprio le plusvalenze. Una ragione in più, quest’ultima, per cercare di farne quante più possibili. Nel mondo del calcio – come in quasi ogni altro – vale infatti la seguente regola aurea: chi più guadagna, più può spendere.
Il problema è che talvolta, pur di potersi permettere un mercato al di sopra delle righe tracciate dal Fair Play Finanziario, alcuni club decidono di gonfiare deliberatamente il valore dei cartellini dei propri calciatori, in modo tale da poter segnare a bilancio delle plusvalenze che in realtà non hanno comportato alcun guadagno effettivo.
È il caso, per esempio, del famoso scambio tra Barcellona e Juventus concluso nell’estate dello scorso 2020. In quell’occasione, l’attuale numero 5 della Juventus Arthur venne valutato dai blaugrana la bellezza di 72 milioni, mentre Pjanic si trasferì in Spagna sulla base di una valutazione di ben 60 milioni. Come fu subito chiaro a tutti, le cifre riportate non rispecchiavano affatto il reale valore dei calciatori, pur permettendo ad entrambi i club di aggirare il Fair Play Finanziario grazie a due plusvalenze da record.
Adesso, la Covisoc indaga proprio sul club bianconero, reo di aver concluso anche altre operazioni di mercato ambigue (come lo scambio Franco Tongya – Marley Aké con il Marsiglia B). Al centro della bufera, anche il Napoli del presidente De Laurentis: la valutazione di alcuni giovani inseriti nell’operazione Osimhen ha infatti destato più di qualche sospetto.
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