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Giunge infine per tutti – escluso, forse, il solo Zlatan Ibrahimovic – il fatidico momento in cui, per l’ultima volta, ci si deve togliere la sudata maglia, il sofferto momento in cui, per la prima, si devono appendere le scarpette al chiodo, l’insperato momento in cui, ancora, cala il sipario sulla nostra carriera, la dolce porta degli spogliatoi si chiude alle nostre spalle per sempre e gli stadi iniziano a gridare il nostro abusato nome soltanto con la stanca voce della nostra memoria.
La carriera di un giocatore di calcio – ammesso che questi abbia la fortuna di firmare il proprio primo contratto professionistico non appena compiuta la maggiore età – dura mediamente una quindicina di anni, venti al massimo. Un lasso di tempo, quest’ultimo, assolutamente sufficiente per mettere da parte un’autentica fortuna, ma soltanto per i migliori calciatori dei campionati più prestigiosi. Il restante 95% dei professionisti del pallone – così come è possibile evincere grazie ad uno studio realizzato qualche anno fa in Inghilterra – guadagna invece troppo poco per potersi concedere di non fare nulla per il resto della sua vita una volta appesi gli scarpini al chiodo. Questa, nella fattispecie, è la ragione per la quale sono sempre più numerosi i casi di ex calciatori che finiscono sul lastrico (iconica, da questo punto di vista, è la drammatica vicenda biografica dell’ex Inter Andreas Brehme).
Il senso comune, alla nostra richiesta di raffigurarsi mentalmente la vita media di un calciatore, ha immediatamente tirato in ballo macchine di lusso, ville a tre piani e conti in banca equivalenti o superiori a quelli della stragrande maggioranza della popolazione occidentale. Il senso comune, tuttavia, si sbaglia, e si sbaglia di grosso, poiché quanto ha immaginato vale soltanto per una piccola, piccolissima percentuale di coloro che di mestiere tirano calci ad un pallone. Tutti gli altri – come risulta da vari studi condotti nell’arco degli ultimi anni – ricevono uno stipendio assolutamente normale, del calibro, per esempio, di un qualsiasi funzionario statale.
Lasciando da parte la Serie A (e alcuni casi in Serie B), i calciatori guadagnano infatti una media di 1.300 euro al mese. Un salario sufficiente (forse?) per vivere giorno dopo giorno, ma assolutamente inadeguato per campare una vita intera una volta ritiratisi dal gioco. La domanda, a questo punto, sorge spontanea e legittima: è prevista una pensione per i calciatori? E se sì, dopo quanti anni di contributi vi possono accedere? E a che età?
Nel 1973, con la legge n. 366, l’Italia ha introdotto la previdenza per i calciatori. Consultando il decreto, si evince che per poter aver diritto, a partire dall’età di 67 anni, ad una pensione di circa 1.500 euro, sono necessari 20 anni di anzianità contributiva. Un lasso di tempo, quest’ultimo, che pochissimi professionisti sono effettivamente in grado di trascorrere giocando ad alti livelli. Ecco spiegata, di conseguenza, la ragione per cui così tanti giocatori decidono di diventare allenatori. Ma questa, ad ogni modo, è tutta un’altra storia…
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