Fair Play finanziario, come funziona e cosa devono fare le squadre

Le disposizioni per quanto concerne il funzionamento Fair Play finanziario.

Il Fair Play finanziario è pur sempre uno dei regolamenti più messi in discussione della storia del calcio. Un regolamento che ha tenuto sulle spine vari club, arrivando addirittura alla creazione di polemiche nel momento in cui squadre molto più blasonate tendevano a fare spese tanto folli quanto non messe sotto osservazione dalla UEFA stessa.

Come funziona? Qual è l’obiettivo di questo sistema? E’ riuscito nel suo intento? Non perdiamoci in chiacchiere e analizziamo il Fair Play Finanziario.

Cos’è il Fair Play Finanziario?

Citando Wikipedia: “Il fair play finanziario è un progetto introdotto dal comitato esecutivo UEFA nel settembre 2009 che mira a non far estinguere i debiti contratti dalle società calcistiche e ad indurle nel lungo periodo ad un auto-sostentamento finanziario”.

L’idea fu proposta dall’ex giocatore della Juventus Platini, il quale dichiarò esplicitamente: “Un obiettivo con implicazioni di ampia portata come il benessere generale del calcio, purché tutti i club giochino secondo le regole, soddisfino i criteri di fair play finanziario e raggiungano un bilancio sostenibile, in modo che passione faccia rima con ragione”. Idea sulla carta apparentemente promettente vista la possibilità di ottenere degli equilibri economici che avrebbero scatenato un vero e proprio effetto domino.

Disparità tra i vari club (con tanto di polemiche)

Nonostante ciò che si è spiegato in precedenza, tale sistema ha permesso ai vari club ricchissimi di spendere tanto e al resto invece poco e nulla. Nel primo caso i due club più citati sono quelli degli sceicchi (Manchester City e PSG), spendendo oltre 200 milioni sul mercato come se non ci fossero dei parametri da seguire: cifre alla pari di un fatturato di una squadra mediogrande, che fece storcere parecchio il naso a giornalisti e non solo. E in Italia? Per quanto concerne invece la Serie A è già un costeso assai delicato. Se fino a solo dieci anni fa solo le big potevano permettersi di tenere campioni e al tempo stesso comprare tanto, ora anche costoro sono costretti a fare le cosiddette plusvalenze: il più delle volte con l’obiettivo di coprire le perdite. L’esempio più lampante è l’Inter con i debiti che non sono stati saldati a distanza di anni, con i nerazzurri che a fine anno devono vendere un loro big. Si potrebbe tranquillamente citare il Milan che cinque anni fa rinunciò a giocare nelle coppe europee per questo motivo oppure la Juventus disastrata dall’operazione CR7 (con 30 milioni d’ingaggio). Il COVID è stata una stangata, portando anche i vari club a scarseggiare in termini di denaro, ma comunque con le mani legate quando si trattava di spendere.

Il caso SuperLega

Quando si posò la prima pietra della SuperLega, molti club erano d’accordo sulla creazione di tale competizione: soprattutto analizzando gli introiti che andavano fino ai €400 milioni di euro d’incasso (sottolineando quanto la UEFA non dava premi all’altezza). Tutto saltò, ma tale situazione rimarcò i grandi squarci del sistema UEFA, e su tutte il Fair Play finanziario. Ora però la domanda sorge spontanea: come sistemare questo sistema in modo da accontentare tutti? La soluzione sarebbe quella di sedersi tutti attorno ad un tavolo e cercare una soluzione

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