Forse l’espressione di Oyarzabal, dopo aver visto Sánchez Martínez estrarre il cartellino rosso dalla tasca, rappresenta fedelmente lo stato d’animo dei tifosi al 29 agosto. Anche il capitano non riusciva a crederci, allo stesso modo in cui molti non hanno voluto accettare il “no” di Hummels alla Real per motivazioni più che comprensibili, o il colpo di scena di Toni Martínez, che ha lasciato Zubimendi con un’aria di “cosa sto facendo qui”.
Poi le cifre casalinghe che continuano a pesare su di una squadra che rende di più quando si libera dalla pressione dei suoi sostenitori, assetati di vittorie. A volte sembra che i giorni tra l’inizio della competizione e il 30 agosto – giornata in cui l’uragano di nomi si conclude – non contano.
La verità è che i primi sei punti in casa sono spariti e nessun nuovo arrivo può ripristinarli. Imanol dovrebbe essere felice: mentre a Zubieta non fa altro che perdere giocatori tra infortunati, espulsi e un Robert Navarro che si rifugerà sotto il sole delle isole Baleari, Aperribay non riesce a far valere il suo stile negoziale per chiudere i trasferimenti, che sono ora una priorità per la Real. Imanol non accetta di dare minuti a Jon Martín, non bastano le prestazioni di Sergio Gómez come nuovo centrocampista. Vuole certezze che non ci sono. A maggio, quando si sarà con la calcolatrice in mano e l’occhio sulla classifica, non avrà senso ricordare la visita fulminea della dirigenza realista in Danimarca. Anch’io sono stato a Copenaghen, una città davvero affascinante. Ma nel calcio, come nella vita, bisogna concentrarsi su quello che conta, e al momento la Real è con le spalle al muro. È il momento di un’impresa eroica.