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La storia di Marco Pantani è un racconto che avremmo voluto che fosse più lungo. Un campione del ciclismo mondiale, che ha regalato milioni di emozioni a tutti gli appassionati e non solo. Considerato uno dei ciclisti più forti in montagna di tutti i tempi, ripercorriamo insieme le gesta della sua carriera, soffermandoci anche sulla misteriosa morte avvenuta il 14 Febbraio 2004.
Pantani nacque il 13 Gennaio 1970 a Cesena. Fu proprio sulle strade emiliano-romagnole che Marco cominciò a pedalare, grazie alla bicicletta che gli regalò nonno Sotero. Venne tesserato nel 1984 dalla G.C. Fausto Coppi di Cesenatico, con cui prese parte alle prime gare.
Un periodo particolare fu l’anno 1986: Pantani venne coinvolto in due incidenti e dovette passare diversi giorni in ospedale. Il primo avvenne durante un allenamento: un momento di distrazione lo fece schiantare contro un camion e il ragazzo finì in coma per un giorno intero. Il secondo incidente avvenne subito dopo essere tornato in strada: Marco sbatté in discesa contro una macchina e rimase in ospedale una settimana con varie fratture.
Nel 1992 decise di entrare tra i professionisti, prendendo parte alla squadra diretta da Davide Boifava e capitanata da Chiappucci.
Dopo la prima partecipazione nel 1993, conclusasi anticipatamente a causa di una tendinite, Pantani era deciso a mettersi in mostra al Giro D’Italia del 1994. Nella tappa dolomitica Lienz-Merano del 4 Giugno, il Pirata ottenne la prima vittoria in carriera tra i professionisti. Nel corso della manifestazione rosa riuscì a vincere un’altra tappa, ma questo non bastò per aggiudicarsi la maglia Rosa. Concluse secondo sia in classifica generale sia tra i migliori giovani. Il successo al Giro gli diede maggiore popolarità e un nuovo soprannome: venne definito “il Diavoletto” dal direttore sportivo Giuseppe Martinelli.
Sempre nel 1994 decise di prendere parte per la prima volta al Tour de France. L’inizio non fu dei migliori, anche perché la popolarità aveva aumentato l’attenzione degli avversari su di lui. Superate le difficoltà iniziali, e assunti i gradi di capitano a seguito del ritiro di Chiappucci, riuscì a finire sul gradino più basso del podio nella classifica generale. La grande prova dell’italiano venne confermata anche dalla vittoria della maglia bianca, premio dato al miglior giovane.
Nel 1995 dovette rinunciare a partecipare al Giro d’Italia, a causa di un infortunio a seguito di uno scontro con un automobile, avvenuto durante un allenamento. Si riprese per il Giro di Svizzera dove acquisì il soprannome “il Pirata” a seguito di un look caratterizzato da capelli rasati e orecchini. Riuscì invece a partecipare nuovamente al Tour de France. Nonostante il bis nella vittoria della maglia Bianca e il primo successo in una tappa della Grande Boucle, Pantani chiuse solo al 13esimo posto. Oltre ai soliti dolori al ginocchio, la sua prestazione fu condizionata dalla morte di Fabio Casartelli, durante la tappa del 18 Luglio. Per Marco fu un grosso shock, che lo condizionò nel resto della manifestazione.
Le sfortune del 1995 non erano destinate a finire: un nuovo incidente gli causò la frattura di tibia e perone, con il rischio di veder finire anticipatamente la propria carriera.
Il 1996 fu un anno completamente dedicato alla ripresa del brutto infortunio, che avrebbe potuto anche causargli la perdita della gamba. Ad inizio 1997 Pantani era pronto a tornare in sella. Si trasferì alla Mercatone Uno, squadra composta principalmente da romagnoli e con l’obiettivo di sostenere il Pirata nelle grandi competizioni.
Pantani prese parte al Giro d’Italia del 1997, ma nel corso della gara un nuovo incidente lo costrinse all’ennesimo stop. Nel corso di una tappa venne coinvolto in una caduta di gruppo, causata dall’attraversamento improvviso di un gatto. Al diavoletto venne diagnosticata la lacerazione di un centimetro nelle fibre muscolari della coscia sinistra.
Riuscì però a ritornare in sella per il Tour. Condizionato da una bronchite e dal ritardo di condizione, riuscì a ottenere due vittorie di tappa. La più celebre fu quella sull’Alpe d’Huez, percorrendo l’ascesa in 37 minuti e 35 secondi: un record che rimarrà per sempre nella storia della competizione francese. L’impresa non fu sufficiente per guadagnarsi la maglia Gialla: Pantani chiuse al terzo posto in classifica generale.
L’anno della gloria fu il 1998. Dopo un inizio difficile che vide emergere il favorito Alex Zulle, Pantani riuscì a strappare la maglia rosa al rivale e a tenerla fino alla tappa di Milano. Fu il primo grande successo del Pirata, che nell’occasione riuscì anche a vincere la maglia verde. Dopo il successo italiano, Pantani decise di non partecipare al Tour di quell’anno. Cambiò idea a pochi giorni dall’inizio della gara a causa della morte di Luciano Pezzi, suo mentore e direttore sportivo alla Mercatone Uno.
Il ritardo di condizione, causato dai festeggiamenti e dall’interruzione degli allenamenti, gli causò un un iniziale ritardo di cinque minuti rispetto alla maglia gialla. La svolta avvenne nel corso della 15esima tappa. Sotto una pioggia fortissima, Pantani compì una vera e propria impresa sportiva, tagliando il traguardo in solitaria e infliggendo 9 minuti di distacco al capo classifica Ullrich. Il Pirata indossò per la prima volta la maglia gialla e non se la tolse più: dopo 33 anni un italiano tornò a trionfare a Parini. Per Pantani fu una storica doppietta, nonostante l’era degli scandali con lui coinvolto fosse appena agli inizi.
Il 1999 iniziò al meglio per il Diavoletto, che bissò alla Vuelta a Murcia il successo dell’anno precedente. Presentatosi in ottime condizioni, diede vita a grandi prestazione al Giro d’Italia che gli permisero di arrivare con addosso la maglia rosa a una tappa dal termine. Forte di 5 minuti e 38 secondi di vantaggio, Pantani assaporava il bis dopo il successo del 1998. La svolta inattesa avvenne il 5 Giugno. Nei test della mattinata venne rilevato nel sangue di Marco una concentrazione di globuli rossi superiore al valore consentito. Il ciclista venne sospeso per 15 giorni, dovendo rinunciare alla vittoria del Giro.
Quell’episodio fu significativo per la carriera di Pantani. Innanzitutto nonostante la sospensione, non venne trovato positivo ai test antidoping. Nonostante ciò furono molte le accuse a suo carico di uso di sostanze dopanti, in primis quelle della sua fidanzata Christina Jonsson. Furono molte le ipotesi derivanti da quell’episodio: dalle accuse di pratiche scorrette per estromettere il Pirata, ad un congiura organizzata dalla mala vita milanese che non avrebbe visto di buon occhio una vittoria di Pantani, a causa di un giro di scommesse sportive che puntavano sulla sua sconfitta.
Per Pantani fu un duro colpo e all’uscita dall’albergo dichiarò:
Mi sono rialzato, dopo tanti infortuni, e sono tornato a correre. Questa volta, però, abbiamo toccato il fondo. Rialzarsi sarà per me molto difficile.
Difatti il Pirata decise prima di non partecipare al Tour de France, poi di allontanarsi dal ciclismo cadendo nel tunnel della depressione e della cocaina.
Pur riuscendo a staccarsi dalla cocaina, il Pantani che affrontò il Giro d’Italia del 2000 fu un lontano parente di quello delle precedenti edizioni. Con uno stato fisico e mentale ai minimi storici, riuscì solo a ottenere un secondo posto nella tappa Saluzzo-Briançon. Prese anche parte al Tour de France, ispirato dalla sfida con l’astro nascente Lance Armstrong. I due diedero vita a una splendida rivalità, che ebbe il suo apice nel successo di Pantani nella tappa del Mont Ventoux. Con nove minuti di ritardo sulla maglia gialla, Pantani tentò il tutto per tutto nell’ostica ultima tappa, ma fu costretto al ritiro a causa di una dissenteria figlia dell’enorme sforzo. Per lui quello fu l’ultimo Tour in carriera.
I successivi anni furono avari di soddisfazioni, con il miglior risultato che fu un 13esimo posto ottenuto al Giro d’Italia nel 2003. A condizionare il ciclista furono le varie vicende giudiziarie, tra cui un processo per concorso in frode sportiva intentato nei suoi confronti per fatti risalenti alla Milano-Torino del 1995. Nonostante riuscì ad essere assolto, dovette scontare nel 2002 alcuni mesi di stop a causa della sospensione per doping avvenuta nel corso dello stesso processo.
Escluso dal Tour del 2003, Pantani quell’estate entrò alla clinica “Parco dei Tigli” con l’obiettivo di curare la depressione e la dipendenza dall’alcool. Una volta uscito decise di non proseguire con le corse, concentrandosi esclusivamente sulle cure.
Il giorno di San Valentino del 2004 il mondo dello sport venne investito dalla notizie della morte del Pirata.
Con i genitori in vacanza in Grecia, Pantani avrebbe dovuto soggiornare a Milano prima di godersi qualche giorno di relax in montagna. Decise però di fare ritorno a Rimini, portando con sé solo una busta contente dei medicinali. Questo almeno è quanto dichiarò il tassista che accompagnò Pantani: una delle tante anomalie della vicenda fu il fatto che i giubbotti da sci, che avrebbe dovuto utilizzare l’ex ciclista, furono ritrovati anche essi a Rimini e non nell’albergo a Milano.
Giunto in Emilia-Romagna, Pantani alloggiò al residence “Le Rose”. Venne ritrovato morto nella camera D5 dell’edificio. L’autopsia rivelò che la morte era avvenuta fra le 11:30 e le 12:30 e causata da un edema polmonare e cerebrale, conseguente a un’overdose di cocaina e, secondo una perizia effettuata in seguito, anche da psicofarmaci. Il campione riposa oggi al cimitero di Cesenatico.
Negli ultimi mesi della sua vita Pantani era fortemente condizionato dalla depressione. Il mondo l’aveva privato della sua più grande passione e quella non sarebbe mai più tornata. Per combattere i suoi pensieri Marco prese a scrivere e molto. Nel libro “Un uomo in fuga” di Manuela Ronchi e Gianfranco Josti vengono riportate le parole del campione nel suo penultimo viaggio prima del tragico soggiorno di Rimini. In uno di questi emerge tutta la sua frustrazione a seguito delle continue inchieste:
Aspetto con tanta verità, sono stato umiliato per nulla e per 4 anni sono in tutti i tribunali, ho solo perso la mia voglia di essere come tanti altri sportivi ma il ciclismo ha pagato e molti ragazzi hanno perso la speranza della giustizia e io mi sto ferendo con la deposizione di una verità sul mio documento perché il mondo si renda conto che se tutti i miei colleghi hanno subito umiliazioni in camera, con telecamere nascoste per cercare di rovinare molti rapporti fra famiglie.
E Pantani continua, con parole dure e forti, che acquistano ancora maggior peso ad anni di distanza dalla sua morte:
E dopo come fai a non farti male. Io non so come ma mi fermo, in casi di sfogo, come questi, mi piacerebbe che io so di avere sbagliato con droghe ma solo quando la mia vita sportiva soprattutto privata è stata violata ho perso molto e sono in questo paese con la voglia di dire che basta la vittoria è un grande scopo per uno sportivo ma il più difficile è di avere dato il cuore per uno sport con incidenti e infortuni e sempre sono ripartito, ma cosa resta se tanta tristezza e rabbia per le violenze che la giustizia a te ti è caduta in credere…
Ma andate a vedere cosa è un ciclista e quanti uomini vanno in mezzo a la torrida tristezza per cercare di ritornare con i miei sogni di uomo che si infrangono con droghe ma dopo la mia vita di sportivo e se un po di umanità farà capire e chiedere cosa ti fa sperare che con uno sbaglio vero, si capisce e si batte per chi ti sta dando il cuore questo documento è verità e la mia speranza è che un uomo vero o donna legga e si ponga in difesa di chi come si deve dire al mondo regole per sportivi, uguali e non falso mi sento ferito e tutti i ragazzi che mi credevano devono parlare.
La morte di questo campione resta ancora oggi un giallo irrisolto. Sono infatti troppi i lati oscuri inerenti a questa vicenda. Dopo la morte, la madre Tonina Belletti non ha mai smesso di lottare per conoscere ogni dettaglio su quanto accaduto al figlio. Secondo lei non sarebbe morto a causa di una overdose, ma Marco sarebbe stato assassinato a causa di qualche scomodo segreto. Dichiarò:
Mio figlio è stato ucciso. Non voglio vendetta ma giustizia. Durante il suo funerale mi sono promessa che avrei dovuto fare di tutto per arrivare alla verità.
A seguito delle indagini venne accusato Fabio Miradossa, lo spacciatore che vendette l’ultima dose di droga a Pantani. La procura di Rimini di fatto ha chiuso il caso con l’archiviazione per overdose e i patteggiamenti degli spacciatori, lo stesso Miradossa e Ciro Veneruso, l’uomo che materialmente portò a Marco Pantani l’ultima dose. Anni dopo uno speciale de Le Iene ha però risollevato dubbi sulla posizione di Miradossa. Le sue dichiarazioni al programma di Italia 1 lasciarono intendere che la verità fosse un’altra:
Marco è stato ucciso, l’ho conosciuto 5-6 mesi prima che morisse e di certo non mi è sembrata una persona che si voleva uccidere. Era perennemente alla ricerca della verità sui fatti di Madonna di Campiglio, ha sempre detto che non si era dopato. Qualcosa stava facendo per arrivare alla verità, quest’ultima è però una mia convinzione
Marco non è morto per cocaina. Marco è stato ucciso. Magari chi l’ha ucciso non voleva farlo, ma è stato ucciso. Non so perché all’epoca giudici, polizia e carabinieri non siano andati a fondo. Hanno detto che Marco era in preda del delirio per gli stupefacenti, ma io sono convinto che Marco quando è stato ucciso, quando è stato ucciso, era lucido. Marco è stato al Touring, ha consumato lì e quando è ritornato allo Chalet (il Residence Le Rose, ndr.) Marco era lucido.
Inoltre Miradossa dichiarò di come fu costretto dalle autorità ad accettare il patteggiamento. Alla commissione Antimafia ha sempre detto di cercare i soldi e di come non fosse possibile che quella dose lo avrebbe potuto uccidere.
Gli avvocati della famiglia Pantani hanno per anni lottato per riaprire le indagini, evidenziando tutte le perplessità rilevate sulla scena del crimine. Tra queste: la presenza di cibo cinese che Marco non mangiava mai; la mancanza di una bottiglietta d’acqua per ingerire il mix letale; il disordine della camera impossibile da causare per un uomo in presa ad un’overdose; alcuni strani lividi sul corpo del ciclista, come se fosse stato costretto ad assumere la droga.
Nel corso degli anni emersero diverse dichiarazioni, come quella del 2016 riportata da Premium Sport che confermò il coinvolgimento della mafia nell’esclusione dal Giro del 1999. Nel 2019 la famiglia Pantani ha richiesto una nuova revisione delle indagini alla Commissione Parlamentare Antimafia. Nel dossier di 56 pagine vengono riportate le prove della presenza di altre persone all’interno della stanza e la conferma di come il corpo fosse stato spostato dal momento del decesso a quello del ritrovamento.
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