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Un grande del ciclismo ci lascia
Il mondo del ciclismo piange la scomparsa di Gianni Savio, un uomo che ha dedicato la sua vita alla scoperta e alla valorizzazione di talenti nel panorama ciclistico internazionale. A 76 anni, Savio ha perso la sua battaglia contro un male incurabile, lasciando un vuoto incolmabile tra gli appassionati e i professionisti del settore.
La sua carriera è stata caratterizzata da una straordinaria capacità di individuare giovani promesse, in particolare dalla Colombia, contribuendo in modo significativo alla crescita del ciclismo sudamericano.
Il talento di Egan Bernal e altri campioni
Tra i tanti ciclisti che hanno avuto la fortuna di essere scoperti e lanciati da Savio, spicca Egan Bernal, vincitore del Tour de France nel 2019 e del Giro d’Italia nel 2021.
Savio ha creduto in lui fin da giovane, portandolo nell’Androni Giocattoli e successivamente affidandolo al Team Sky, dove Bernal ha potuto esprimere tutto il suo potenziale. La visione di Savio nel riconoscere il talento è stata fondamentale per il successo di molti ciclisti, da Andrea Tafi a Michele Scarponi, fino a Fausto Masnada e Mattia Cattaneo.
Un’eredità duratura nel ciclismo
La carriera di Gianni Savio è iniziata negli anni ’80, quando ha deciso di intraprendere la strada del direttore sportivo. Nel 1992, rilevando la ZG Mobili-Selle Italia, ha dato inizio a un’avventura che lo avrebbe portato a diventare uno dei manager più rispettati nel ciclismo. La sua passione per lo sport, trasmessa dal nonno, lo ha spinto a cercare talenti in tutto il mondo, creando un legame speciale con la Colombia. Savio non era solo un manager, ma un vero e proprio mentore per molti ciclisti, che lo ricordano con affetto e gratitudine.
Un uomo di passione e umanità
Oltre ai successi professionali, Gianni Savio era conosciuto per la sua umanità e la sua disponibilità. Amava scambiare due chiacchiere con chiunque, rendendosi sempre disponibile per offrire consigli e supporto. La sua scomparsa lascia un segno profondo nel cuore di chi lo ha conosciuto e apprezzato. Lo chiamavano “Il Principe” e, senza dubbio, il suo spirito vivrà per sempre nel ciclismo italiano e internazionale.